Gennaio, di solito il mese più freddo dell’anno.
L’anno scorso è stato decisamente anomalo: relativamente caldo, grandi nevicate, temperature a picco. Condizioni molto difficili per le piante e, di conseguenza, per il giardino. Il caldo aveva illuso i vegetali di essere arrivati alla fine dell’inverno e quindi la linfa aveva ricominciato a scorrere, le gemme a gonfiarsi e qualche timido accenno di vegetazione era comparso sui rami e dal terreno.
Poi, un pesante materasso di neve che, purtroppo non è rimasto tale ma si è trasformato rapidamente in un mattone di ghiaccio.
Molte piante non sono sopravvissute e, anche se nella media le temperature erano state meno rigide dell’inverno precedente, questa combinazione subdola le ha stroncate.
Adesso io scrivo all’inizio di questo nuovo periodo, quindi non so come si evolverà; posso solo fare delle considerazioni in base alle esperienze passate, più o meno recenti.
La prima riguarda i “frost pocket”, cioè quelle zone posizionate in ombra per molte ore al giorno e caratterizzate dal persistere di brina, neve, ghiaccio anche per lunghi periodi, mentre in altre parti del giardino ricompare il verde o il marrone della terra. Un frost pocket può essere dovuto ad un avvallamento del terreno o alla vicinanza di ombra fitta, ad esempio generata da una siepe o un muro che impedisce ai deboli raggi del sole d’inverno di scaldare il terreno e sciogliere il ghiaccio.
Se non si può (o non si vuole) intervenire sulle cause strutturali, è possibile trasformare questa zona in un esperimento quasi finlandese: betulle, eriche, conifere nane, agrifogli, mahonie, mirtilli, uva ursina. Sono piante che richiedono un terreno un po’ acido; se il vostro non lo è potete intervenire con abbondanti pacciamature di aghi e corteccia di pino. Poco o niente compost.
Chiaramente questa zona sarà ammirata da lontano, o con una veloce passeggiata in inverno, mentre potrebbe diventare un fresco rifugio in estate. Se potete, non dimenticate una panchina in legno, magari fatta semplicemente con due assi posate su dei supporti, non trattate in modo da accelerare il processo di invecchiamento e far assumere al legno sfumature sbiadite e grigiastre, perfette in questo angolo.
Ovviamente questo suggerimento vale solo per i giardini nel Nord dell’Italia, preferibilmente in una zona pianeggiante perché anche se è un gioco di ispirazione aliena, non può essere “troppo” alieno: colline ricche di ulivi o vigne o, peggio, la vista del mare, il nostro Mediterraneo, renderebbero il quadro stonato o impossibile.
La seconda considerazione è sulla rusticità delle piante: negli anni scorsi si è scritto e parlato spesso di sperimentare la rusticità di piante, precedentemente considerate sensibili al freddo, perché gli inverni meno rigidi facevano sperare in un effetto collaterale positivo associato al riscaldamento globale. E invece, apparentemente a smentire le vituperate cassandre ecologiste, ma in realtà solo a ricordarci che nella nostra superbia non siamo in grado di prevedere o controllare nulla, gli ultimi inverni sono stati freddi, in alcune zone d’Italia nevosissimi e in altre estremamente siccitosi.
In queste situazioni di clima imprevedibile io, che non amo rischiare la vita delle piante per un mio gioco, credo che sia più utile e sicuro limitarsi alle specie originarie della zona, o comunque di climi analoghi: sono le piante più robuste e quindi anche in grado di sopportare e adattarsi meglio ai cambiamenti. E se questo va a scapito di accostamenti innovativi, giardini ispirati ai Tropici o al fynbos africano, pazienza. Oltretutto, questi giochi di stile sono, secondo me, molto più adatti ad un contesto urbano, dove invece il microclima causato dal riscaldamento delle case e dall’inquinamento mantiene temperature minime nettamente meno rigide. E questi post sono ispirati al mio giardino, che si trova in campagna.